Un week-end in Abruzzo – alla scoperta dei borghi italiani

Prima di partire avevo detto a Stefania che quello non sarebbe stato un viaggio ma una missione.Perché partivo in pullman per una breve vacanza, poco più di un weekend in Abruzzo, con due bambini, una valigia troppo pesante e l’inconfondibile accessorio che denota chi sempre va a trovare un amico lontano, anche se costui ha lasciato Napoli solo due giorni prima…la mozzarella.

Così senza un perché evidente siamo partiti per l’Abruzzo, per andare a fare niente, sulle orme di un passato troppo lontano e di ricordi ormai completamente annebbiati.

Prima di partire avevo detto a Stefania che quello non sarebbe stato un viaggio ma una missione.Perché partivo in pullman per una breve vacanza, poco più di un weekend in Abruzzo, con due bambini, una valigia troppo pesante e l’inconfondibile accessorio che denota chi sempre va a trovare un amico lontano, anche se costui ha lasciato Napoli solo due giorni prima…la mozzarella.

Così senza un perché evidente siamo partiti per l’Abruzzo, per andare a fare niente, sulle orme di un passato troppo lontano e di ricordi ormai completamente annebbiati.

Accade però che i ricordi si sveglino improvvisamente, come quando calpesti per sbaglio l’alluce di un manichino e ti accorgi che no…non era un manichino.

E mi sono trovata nel bel mezzo dei mie 16 anni, con un mare giallo tutto attorno, e il risveglio è avvenuto di soprassalto su un divano anch’esso giallo, di una casa in un borgo abruzzese semi deserto, risparmiato dal terremoto ma non dalla voglia di scappare di chi per tanto tempo lo ha abitato.

Non so spiegare cosa renda questo luogo speciale, forse proprio la bellezza dell’abbandono, le ringhiere dei balconi in uno stile troppo ricercato per un posto tutto sommato nascosto, le porte verdi scrostate dal sole che batte, l’unica cosa che vi si scontra contro, perché i toc toc non li fa quasi più nessuno, se non un ‘orda di ragazzini, i figli di coloro che qui ci sono cresciuti e adesso vivono a Pescara o all’Aquila e  che in estate portano i bambini a godere dell’aria fresca a casa dei nonni.

E i bambini la sanno cogliere la bellezza dell’abbandono, sanno ispezionare le cantine vuote abitate solo dagli miagolii di una cucciolata, sanno far correre le proprie biciclette senza freni su quelle strade di pietra senza auto, sanno passare i pomeriggi riempiendoli di mille cose da fare.

Non c’è un edicola, non c’è (quasi mai) connessione ad internet, ma se proprio ti urge di fare una telefonata puoi andare al tabacchi in piazza, con la vecchia targa con la concessione n. 1, il più antico d’Italia, lì, nel retro dovrebbe esserci ancora una cabina telefonica con gettone.

E poi i mobili verde salvia immutati negli anni, dove non ti farebbe specie trovarci ancora la farina rimacinata a pietra, e dove invece ci trovi un po’ di tutto, in questa strana commistione di vecchio e nuovo, di Winston Blue e pane integrale.

Bisognerebbe riscoprirli posti come Collepietro e Santo Stefano di Sessanio, altro incantevole borgo dell’Aquilano, trasformato in un albergo diffuso, bisognerebbe fare in modo che i viaggiatori si fermino per qualche giorno e che decidano di restarci settimane, facendosi trasportare da quel dolce far niente in realtà irreale, perché qui tra passeggiate al tramonto, gite al lago e cavalcate il tempo passa via veloce. Bisognerebbe davvero riportare il turismo in questi borghi…o forse no, meglio lasciarli ai sognatori.

 

 

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