Una felpa la compri non perché ti serve un capo di abbigliamento ma perché aneli a un aggregatore di stati d’animo, a uno stato in luogo valido ovunque, allo status quo tra estate e inverno, a uno stato mentale lieve quando davanti all’armadio non sai cosa pescare.
Una felpa sta bene sotto, sopra, appoggiata su un fianco, legata di lato, rovescia sulla schiena.
La metterei sotto i primi cappotti di jersey leggero di ottobre o quelli pesanti di dicembre, se avessi un cane da evacuare alla mattina e vivessi a Soho, prima dello jogging e dopo il pigiama, con il caffè che sa di sonno e crocchette gusto tacchino ed è rigorosamente amaro.
La butto sotto a una collana lampadario perché di luce ho voglia sempre, anche quando sono in tuta, sotto agli auricolari della musica che confondo con i lacci del cappuccio da tirare ogni due per tre, sotto a un gatto che perde pelo e vuole stare stretto, sotto alle macchie di farina quando tiro la sfoglia in cucina alla domenica mattina.
E la metto sopra il divano, che per il plaid è ancora presto, sopra alle canotte bianche, perché gli anni Ottanta vanno sempre bene, Flashdance lo guardo ancora e magari all’ora di pranzo fa caldo. Sopra il jeans il sabato mattina, sopra una gonna plissettata e fiabesca che anche il principe si deve adeguare a meno coroncine e più borchie, sopra il cuore perché stia morbido, sopra il reggiseno che non porto più, i pantaloni bianchi che non voglio mettere via solo perché è già autunno.
Non se ne puo’fare a meno. Una volta andai a una contrattazzione sindacale con una felfa rossa, ebbe la sua riuscita.