Amore mio la logica non è sincera, un po’ come giugno, che sembra bugiardo nel non fare mai sera.
Mese caronte, mese bifronte di un solstizio irregolare che tace all’inizio ed esplode sul finale, sulla carta ai margini dell’estate, nei fatti direttore d’orchestra delle tendenze di stile personali, obbliga a scavare negli armadi e stuzzica ad osare i primi nuovi accostamenti stagionali.
È il sandalo definitivo, il ricamo leggero e pastello senza reticenza, l’azzardo di azzurri che sfreccia su motorini di città con un pomodoro rosso in mano.
Ci sono frasi che nascono solo a giugno, audaci e ottimiste, davanti a cocktail che non sembrano più freddi, con chiome arruffate dal caldo, bracciali che iniziano a sudare i polsi e pezzi di jeans troppo pesanti che non riusciamo ad abbandonare.
Ci sono pensieri che si dipanano, a giugno, limpidi nel loro filare lisci, come un pantalone a palazzo, bravo a liberare le caviglie per esaltare passeggiate, andature, direzioni.
Ci sono costumi che si fanno lingerie, a partire dal sesto mese dell’anno, seni meno nascosti e makeup con poca ragione d’essere, incuranti se il vento se li soffia via.
Giugno è una dichiarazione senza promessa, un abito da comprare nelle settimane che verranno, una mattina di mare e autoabbronzante nella borsa, una scommessa che spalanca tutti i cassetti, anche quello dei parei che si fanno gonne di città, delle borse di paglia da appoggiare sulle scrivanie degli uffici.